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Storie e curiosità

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Il Maglio di Ghirla

Tra i numerosi nuclei artigiani del ferro che sfruttavano la forza motrice dell'acqua nel territorio delle Prealpi Varesine, il maglio di Ghirla (Valganna), edificato sul torrente Margorabbia a sud di Casanova e Raglio, rappresenta un esempio significativo di archeologia industriale.


Notizie certe relative alle attività siderurgiche sono documentate a partire dal XVIII secolo, sebbene non si possa escludere l'ipotesi di periodi produttivi precedenti. Risale infatti al 1791 la vendita della fucina di Ghirla a Vincenzo Pavoni di Dongo e Francesco Rusconi di Cunardo.

Qui si forgiavano principalmente attrezzi agricoli ed utensili da maniscalco, oltre a diversi strumenti propri delle mansioni artigiane locali (vergelle, pialle, raspe, ecc.)

Il maglio impiegava una decina di operai e, nel 1813, produceva ancora 220 quintali di manufatti. L'attività della famiglia Pavoni, divenuta l'unica proprietaria nel corso dell’Ottocento, si protrasse fin verso la metà del XX secolo.


Nell'ambito di una tecnica di lavorazione del ferro comune in tutta Europa, soprattutto tra Settecento ed Ottocento sebbene già in uso fin dal Quattrocento, il maglio a testa d'asino veniva, in genere, impiegato nella spianatura delle vergelle e dei masselli di ferro incandescenti, rifiniti in seguito col martello sull'incudine.

In Italia, il maglio conobbe notevole diffusione nelle aree alpine e specialmente prealpine, grazie all'abbondanza di acqua e legname. Ancora nella prima metà del Novecento, un simile procedimento di lavorazione siderurgica, endemico di nicchie ambientali di media e, talora, alta montagna, connotava quella "siderurgia alpina" che era andata distinguendosi dalla "siderurgia industriale". Questo tipo di manifattura, tra XIX e XX secolo, veniva ancora impiegato nella produzione di attrezzi da lavoro per l'agricoltura e l'edilizia, non di rado ricuperando rottami di ferro.


Il Maglio di Ghirla, da poco restaurato, è oggi proprietà della Comunità Montana, che intende così traghettare nel terzo millenio il ricordo di un’arte appartenente ad una tradizione gloriosa dell’artigianato lombardo.




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