Storie e curiosità

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Quando a Varese c'era il vino

Ci racconta l'autore Sergio Redaelli, 55 anni, giornalista caporedattore a Milano in un gruppo editoriale che si occupa di enogastronomia e altro: "Forse proprio per questo fui incuriosito dal fatto che tutta l'Italia fosse un grande vigneto tranne, curiosamente, Varese. Così incominciai a scartabellare negli archivi e, la domenica, a fare interviste agli "ultimi viticoltori" rimasti.
Ne venne fuori materiale interessante per un libro.

"Quando a Varese c'era il vino" uscì nel 1999, andò rapidamente esaurito e oggi lo si trova solo nelle biblioteche pubbliche (so di sicuro a Varese, Laveno, Cunardo, Saltrio, Angera, Induno Olona ecc.).
Tra poco usciremo con una ristampa aggiornata, che aggiunge alla parte storica (il "vecchio" libro contiene documenti inediti della viticoltura varesina da Ludovico Il Moro a San Carlo, da Carlo Porta alla cantina sociale di Travedona Monate, ma anche interviste a contadini, agronomi ed enologi sul presente e il futuro...), aggiunge, dicevo, tutto ciò che è accaduto dal '99 ad oggi e che ho personalmente descritto con decine di articoli sulla Prealpina, cui collaboro.

L'iter della Igt è partito proprio dalla pubblicazione di quel libro: mi chiamò infatti il direttore della Coldiretti, Ignazio Bonacina, dicendo che gli sarebbe piaciuto rilanciare il vino di Varese di cui si era persa quasi la memoria. Insieme decidemmo di coinvolgere, innanzitutto, l'Università Statale di Milano per le analisi pedoclimatiche, le microvinificazioni ecc.

In poco tempo, grazie alla buona volontà anche di altre persone ed enti (Camera di commercio, amministrazione provinciale ecc.), fu avviato il progetto e l'anno scorso partì per Roma il dossier con la richiesta di Igt (cui ho contribuito per la parte storica).

Nel 2002 ho pubblicato un secondo libro, "Varese golosa, storia e personaggi" (sempre con Macchione Editore) in cui allargavo lo sguardo a tutti i prodotti tipici varesini dal miele agli asparagi di Cantello, dalle pesche di Monate alle patate di Uboldo, dai formaggi del Luinese alle verdure di Casbeno ecc.
In questo secondo libro ho ricostruito le sorprendenti tradizIoni alimentari e gastronomiche del Varesotto e raccontato personaggi e protagonisti (il cuoco dei papi del '500 Bartolomeo Scappi, la cucina dei Borromeo ad Angera nel '400 e alla corte Estense di Varese nel '700, le ricette liberty del Grand Hotel Campo dei Fiori all'inizio del '900, usi e costumi gastronomici a villa Porta Bozzolo, a villa Cicogna, a palazzo Branda a Castiglione Olona ecc). "

Scrive WINENEWS su "Quando a Varese c'era il Vino": "C'era una volta una terra da vino chiamata Varesotto. Una terra fertile e verde, coltivata a filari ordinati in cui si venerava il dio Bacco. L'uva aveva nomi curiosi come Vespolina e Ughetta, Corbera, Pignolo, Moretto, Schiava e Chiavennasca bianca.
Le aziende intrecciavano affari, si costituivano cooperative per favorire le vendite, le banche agricole alimentavano il credito.
Nei giorni della vendemmia le corti si riempivano di gente e di carri, nelle cantine si dava mano al torchio e dai tini profumati di mosto zampillavano vini gustosi e saporiti".
Inizia così il libro "Quando a Varese c’era il vino" (che sfata un radicato luogo comune, e cioè che la provincia di Varese, in tema di vino, sia sempre stata "la Cenerentola d’Italia".
La realtà è invece diversa: nel '500 la sola Busto Arsizio, oggi centro industriale, contava 4000 pertiche di terreno coltivato a vite e degli ottimi vini prealpini parlava, più o meno negli stessi anni, lo storico Paolo Morigia (considerato l’erede del cronista meneghino Bonvesin della Riva).
Nel ‘600 la vitivinicoltura rappresentava i 4/5 della produzione agricola del Varesotto e l’80% del reddito ed i carri carichi di uve varesine prendevano la strada dei mercati di Milano e della Svizzera.

Ancora: nel '700, il conteggio dei filari di vite rappresentava gran parte del lavoro dei funzionari del catasto teresiano e nell'Ottocento, Carlo Porta declamava in dialetto la bontà dei vini di Tradate e Varese.
Persino il cardinale Carlo Borromeo degustava volentieri il vino delle Prealpi: se lo faceva mandare addirittura a Roma, in botte, dal Castello di Frascarolo, mentre il grande scrittore Alessandro Manzoni lo gustava in casa dell’amico prelato Luigi Tosi, a Busto Arsizio.

Oggi molto è cambiato. La produzione d'uva da vino, nella provincia prealpina, ma un rilancio è possibile: il vicinissimo Canton Ticino, con analoghe condizioni pedoclimatiche, ha sviluppato, in questi ultimi decenni, la produzione di Merlot.
"Il rilancio dei vini varesini è una prospettiva non facile, dati i vincoli al reimpianto dei vigneti imposti dall'Unione Europea – osserva nella prefazione del libro di Redaelli il giornalista enologo Alberto Zaccone – ma non impossibile."

Per informazioni:
Macchione Editore
www.macchione.it

Sergio Redaelli
redser@libero.it



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