Se sarà un incontro fortunato lo scopriremo più avanti, ma di sicuro l'inizio è incoraggiante. Il vino varesino, ormai non più neonato, prova a farsi amicizie tra i grandi produttori e si fa apprezzare da chi, sul vino stesso, ha costruito un impero.
Si può descrivere così la stretta di mano avvenuta nei giorni scorsi tra le vigne di Morazzone, un angolo di provincia sconosciuto ai più ma stupendo per la propria eleganza, tra i proprietari della
Cascina Ronchetto, Fabio e Sandra Cazzani (con l'enologo Giovanni Caprioglio) e Giovanni Puiatti, il produttore friulano che ha fatto dell'acciaio il proprio credo, per non "toccare" con l'affinazione in legno gli aromi del proprio vino.
Un appuntamento tra i filari, davanti a un tagliere di salume (rigorosamente varesino) per conoscersi, per gustare i rispettivi prodotti, per scambiarsi qualche idea su un mondo affascinante, sia visto dai numeri del grande produttore (oltre 70 ettari, 700mila bottiglie all'anno, 41 anni di attività per Puiatti) sia da quelli pioneristici della Cascina Ronchetto.
«Quest'anno produrremo circa 9.000 bottiglie grazie a un appezzamento che ora misura circa 1,5 ettari visto che ci siamo leggermente allargati» spiega Giovanni Caprioglio, l'enologo che, affiancando l'investimento "da mecenate" di Cazzani, con la propria esperienza ha creato il "Pascale", un rosso da uve merlot al 100% di "scuola ticinese" che rientra nel disciplinare dell'IGT "Ronchi Varesini". A questa produzione, di gran lunga la maggiore, bisogna però accostare un esperimento singolare che ha portato al "Ronché", un vino che a un 30% di merlot aggiunge un 70% di uvaggi di tipo gamaret, praticamente introvabili in Italia.
«Un investimento importante - spiega Fabio Cazzani - estraneo alla mia attività professionale, che porto avanti volentieri anche grazie all'aiuto di un gruppo di amici che fanno i cantinieri per hobby ma che sono davvero formidabili». I vini di Morazzone intanto si fanno onore: l'Associazione Italiana Sommelier (Ais) li ha inseriti entrambi sulla propria guida, un segnale di qualità raccolto da una rete di ristoranti ed enoteche del Varesotto che li propongono sempre più ai clienti. «Da parte nostra del resto l'attenzione ai particolari è massima - spiegano Cazzani e Caprioglio - Abbiamo scelto bottiglie pesanti, etichette speciali, sughero di prima qualità : raggiungiamo circuiti selezionati non certo per caso».
«Scopro oggi i vini varesini» - spiega invece Puiatti, sorpreso di trovare a pochi passi da Milano e dalla Svizzera un avviamento simile «e sono contento di essere qui grazie a un rappresentante comune. Mi pare una produzione interessante e pioneristica, con un proprietario "mecenate" e un tecnico valido. Se ce ne saranno le condizioni, potremo collaborare: la mia azienda vanta una rete commerciale importante, anche estera, che portrebbe dare una mano a questa iniziativa». Puiatti, in punta di piedi, prova a dare un consiglio: «Qui vedrei bene un po' di cabernet, da aggiungere alle uve già presenti. E apprezzo molto questo esperimento sul gamaret, un segnale di coraggio». Il produttore friulano conclude predicando il proprio verbo: «Con il vino è importante "essere se stessi". Spesso in Italia abbiamo la tendenza a copiare gli altri, mentre io credo che sia più giusto tracciare strade nuove. La mia cantina ha scelto di affinare in acciaio mentre gli altri esageravano con il legno: il vino ha i suoi profumi, le sue qualità che vanno salvaguardate, non "ritoccate" con quelli del legno. Un'idea che il mercato ha apprezzato. Perciò mi auguro che anche qui a Morazzone si prosegua sulla strada dell'originalità , così da festeggiare presto un gran vino targato Varese».